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17/03/2017

Sci escursionismo di ricerca

Dopo approfondite considerazioni sono arrivato alla conclusione che il mondo degli sciatori si divide in due gruppi: quelli che hanno imparato a sciare bene già da piccoli e quelli che non hanno imparato neanche da grandi (categoria alla quale io appartengo). Ma andiamo con ordine...
Ad un certo punto della mia vita, in età ormai adulta, costretto ad andare per monti solo nella stagione estiva (ai tempi non andavano ancora di moda le ciaspole come attività invernale, e lo sci da fondo non esercitava su di me una grande attrazione), decisi che dovevo imparare a sciare assolutissimamente per poter in seguito praticare lo sci-alpinismo. La prima volta che calzai un paio di sci, fu sulla pista baby di Bardonecchia, avevo un paio di sci abbandonati in cantina da mio cognato che superavano abbondantemente i due metri di lunghezza, così mi trovai in cima allo skylift che le punte degli sci erano già al fondo pista. Fu questo un periodo molto brutto (anche da raccontare), ma caparbiamente mi iscrissi ad un corso collettivo riuscendo persino ad imparare a curvare a spazzaneve. Quindi mi ritenni pronto per iscrivermi l'anno successivo ad un corso di sci-alpinismo. Dei miei primi approcci con questa disciplina devo però dire che non ricordo quasi nulla. Tuttavia non dimentico la grade sofferenza nei tentativi di scendere in neve fresca, dove io mi conficcavo nella neve per oltre un metro con gli sci che schizzavano verso l'alto, gli altri scendevano pannellando deliziose curve a "S". Per fortuna avevo un piano "B" per migliorare il mio stile: "dovevo semplicemente imitare gli sciatori più bravi" (cosa ovviamente mai riuscita). Infatti la regola base per sciare bene, induce a sporgersi completamente verso il vuoto sulla massima pendenza, quando invece la tentazione sarebbe quella di ritirarti tutto all'indietro, guardare fisso verso valle invece che guardare con rammarico i tuoi sci incrociati a "X". Lo sci-alpinismo è comunque fatica e sacrificio, spinge gli adepti ad alzarsi a orari antelucani affrontando a volte percorsi lunghissimi con "mille&mille" metri di dislivello battendo traccia nella neve fresca costringendo i piedi in scarponi a volte doloranti, a caricarsi sulle spalle zaini enormi (il più delle volte pieni di generi di conforto), con l'unica speranza di provare quell'ebbrezza nella discesa (a patto di possedere una minima tecnica della medesima) che in caso di neve brutta, può trasformare anche la persona più tranquilla in Jack lo Squartatore. Per concludere, inutile dire che non sono diventato un vecchio saggio ed esperto di montagna che sa valutare la consistenza del manto nevoso prevedendo la valanga solo annusando l'aria o assaggiando la neve. Oramai mi sono orientato verso uno "sci-escursionismo di ricerca", risalgo molto volentieri strade innevate e le piste di discesa nei giorni infrasettimanali quando queste sono chiuse. Quindi direi uno sci inteso come ricerca del percorso più facile-breve-tranquillo e sicuro per raggiungere la meta, possibilmente in buona compagnia e ancora meglio se corredata da una buona polenta in rifugio. E va bene così!

18/03/2013

L'uomo con la corda di Silvia Tessa

In collina si iniziano a vedere le primule, le giornate sono più luminose, c'è aria di primavera, c'è aria di ferrate. "Andiamo a fare la Brigue! E' tutta al sole". Hai iniziato l'anno scorso, non ha mai osato superare il livello D (difficile), lasciandolo per l'anno successivo. Eccerto, ma non intendevi per la prima ferrata dell'anno successivo! Peccato o fortuna, non hai letto la relazione tecnica, quindi non lo sai. Si paga l'ingresso all'azienda di turismo, 5 euro prezzo ufficiale, cui viebne applicato uno sconto su base simpatia, credo.

"Randa, devo prendere la corda?" Sì, certo. Che non si sa mai.

Si parte in verticale, ovvio, le ferrate non sono in piano. Sì, ma c'è verticale e verticale: questo ti sembra verticale tanto, ma sarà solo che non sei più abituata. Sali un po', l'allegria del paesaggio ti prende. Sali ancora un po', le braccia danno segni di affatacicamento. Una nicchia nel primo pilastro ti invita a sedertici dentro, come le statuina della bambina con l'agnellino che mettevi sulle montagne del presepio, e stava lì, fino a Natale. Pensi di stare lì, fino a Pasqua. Ma è un po' troppo presto per arrendersi, e non hai nessun agnellino da fare arrosto. Sali ancora un po', una vocina dentro ti dice "Dopo una stagione passata a tentare di allenare il fiato, vai a fare una ferrata dove servono le dimenticate braccia? Ma se vai a dare un esame di storia, prima ripassi inglese? Se vuoi farti segare, magari sì." E infatti a farsi segare sono le braccia. I battiti salgono, per il panico non per la fatica, il cuore si è spostato nelle narici. E' bastato un quarto d'ora, in cui non hai applicato nessuno dei trucchi imparati l'anno prima, per trovarti panata. Possibile che tu non abbia imparato niente? Sì sì, una cosa te la ricordi: attacchi il cordino corto, lasci giù le braccia, e stai seduta sull'imbrago urlando un "Raga, aspettate che non ce la fo di braccia!". Chi ti conosce meglio, annuisce e tace. Chi ti conosce meno, continua a fare incitazioni. Chi è più esperta, ti consiglia "Molla giù tutte e due le braccia, poi quando te la senti, levati veloce di lì che ti manca un cambio e sei fuori", e con andi materno aggiunge "Vuoi che ti venga vicino lui che ha la corda?". L'uomo con la corda e con la fiducia, mi comunica pacato "Ti aspetto qui!". Eh, arrivarci "qui". Gli avambracci, rossissimi, sono duri: il "cicin" che li caratterizza si è pietrificato. Minchia Randa, le gambe! Dovevi usare di più le gambe, ricordi? 'Ca troia, invece hai fatto la figa, un ferro dopo l'altro e su veloce. E mo? E mo stai lì appesa finchè il cicin si depietrifica. Ti aspettano, il tempo che ti serve, non ti mettono fretta, non ti mettono ansia, per questo adori i tuoi compagni di gita. Quando riprendi, sali gli scalini ricordandoti bene di metterci su entrambi i piedi e alzarti di gambe, tieni le braccia tese il più possibile, e vai su senza fermarti. Il cuore torna nella cassa toracica, gli occhi ridono, anche questa è fatta. "A posto Randa?" Eh si, un po' idiota ma a posto. Passato il primo pilastro le cose si semplificano, sempre esposta ma non così strapiombante, la ferrata percorre tutto il massiccio in traverso, per poi regalare una bella tyrollien, senza farsi mancare i ponti delle scimmie, nove in tutto, neanche necessari, ma messi lì per il divertimento delle masse. Tutti i ponti sono rivolti alla parete, tranne l'ultimo, da fare faccia a valle: come se servisse a mantenere l'equilibrio fissi quell'albero, sulla montagna innevata davanti a te, ma poi ti fai prendere, e lasci che lo sguardo spazi su tutta la valle, i piedi scandiscono un passo dopo l'altro, gli occhi una vetta dopo l'altra, un sorriso al cielo su e uno sguardo al paesino giù. All'arrivo uno ti dice "Sto ponte si sentiva nelle braccia". Dirà davvero o per prenderti per il culo? Non chiedertelo, ma soprattutto non chiederglielo. La ferrata continua ancora per alcuni traversi, e poi scende verso il sentiero. La roccia nei tratti più bassi, mista cespugli, un po' si sfalda, ma poco.Tutti entusiasti, andiamo a mettere le gambe sotto il tavolo, facciamo un tour per il paesino di Briga, che qualcuno valuta come possibile meta di una tre giorni romantica, e poi si rientra, con la tappa alla Venchi a Vernante.

Randagia, che tra fiato e braccia, è meglio allenare la memoria!
http://www.randagiconmeta.com/?q=content/luomo-con-la-corda

01/02/2013

Con la luna e con la neve di Silvia Tessa


Tangenziale di Torino, venerdì 25 gennaio ore 18...
Classico ritrovo a bordo città per fuggire più in là, dove le valli danno il meglio di sè, dove i palazzi smettono di occupare l'orizzonte e lasciano spazio alle montagne. Più o meno bianche. Per gentile concessione dell'organizzatore, le donne sono esonerate dalla guida. Mai capito se sia semplice galanteria o assoluta, quanto fondata, sfiducia nella guida femminile su neve. Le partecipanti apprezzano, e non sembrano alla ricerca di disperate dimostrazioni di parità dei sessi, non oggi. Non abbiamo certo fatto a meno del classico personaggio ritardatario, che preso da crisi isterica da smarrimento tra Borgaro e Venaria, note metropoli, ti urla al telefono "Voi andate, io non ce la farò mai!". Sì, sì, il personaggio in causa non è maschile, perché, si sa, l'uomo in auto non deve chiedere mai e non si perde mai. E se anche si perdesse, direbbe che non viene perchè Belen l'ha invitato a cena. Ma la solidarietà femminile fa miracoli, ripeschiamo la malcapitata in una rotonda e via, siamo ancora in orario per l'appuntamento finale a Balme. Venti lumini si muovono nel buio e nel freddo, qualcuno si conosce già, qualcuno si conoscerà, qualcuno "Ma dai, ci sei anche tu?". Baci e abbracci. La luna piena, il cielo terso, le luci frontali accese ad accecare chiunque osi guardarti mentre smadonnando cerchi di chiuderti le ciaspole. A ciaspole indossate, spegniamo la frontale: la luna e la neve consumano meno. E saliamo, su una strada larga e battuta. Qualcuno parte a scheggia, e lo vedrai solo in cima. Qualcuno ha paura a muovere i primi passi: ammettiamo che iniziare la salita da un letamaio non è propriamente geniale. Ogni tanto ci si ferma a guardarsi attorno, non che questa valle sia la più bella del mondo, ma questa sera anche lei ha il suo fascino. Allungo il passo per chiacchierare con uno, lo accorcio per parlare con l'altra, tengo il mio e parlo con chi mi capita. Un'oretta di chiacchiere e visi sorridenti ed eccoci arrivati: Agriturismo la Masinà. Peccato per il lampione che proprio bene non sta. Proseguiamo ancora un po', della luce artificiale oggi non ne vogliamo proprio sapere. Il bosco, la neve, la luna. Due foto. Due "ooooooooo". E poi il silenzio, il silenzio della montagna, il silenzio della natura, il silenzio del "Cazzo son entrati tutti, non ci lasceranno niente da mangiare!". Un improvviso disinteresse per la luna piena, un esagerato desiderio di avere piena la panza: torniamo all'agriturismo a grandi falcate. In fondo ci hanno aspettati. Il vino è abbondante, le porzioni meno, ma per fortuna abbiamo chi non si fa troppi problemi e informa i camerieri che il cibo "non basta", e viene ascoltato. Le donne sono un po' distratte dalla sfilata PittiUomo che si sta accomodando al tavolo vicino, ma prontamente la compagnia riguadagna il loro interesse: "Avete notato che son tutti uomini? E che qualcuno ha anche l'orecchino?". No, però abbiamo notato che noi stiamo ridendo di più. La cena va: affettati, vitello tonnato, polenta e suatisa, polenta e spezzatino, la concia, torte di mais o di cioccolato, il caffè, il pusa cafè. Venti euro. Non male.Qualcuno si ferma a dormire lì, mentre gli altri scendono, tirando gran pacche sulle spalle a chi ha organizzato la serata, tenendo sempre alto il volume delle risate, alla faccia del silenzio della luna e della neve.

Randagia, che tra un mese la luna è piena di nuovo... http://www.randagiconmeta.com/

Dettagli gita:
http://verticalemanontroppo.blogspot.it/2012/01/rifugio-citta-di-cirie-1850-m.html

05/05/2012

Le vie ferrate (attrezzatura)

Le principali attrezzature fisse delle vie ferrate sono:
Gradini,
realizzati in tondino di ferro per calcestruzzo, di diametro variabile ma tale da sostenere un carico di rottura assiale di 1500 kg e di
rottura radiale di almeno 2500 kg, con angolo di piegatura e filettatura ben precisi e studiati appositamente e, infine, sottoposti a trattamento anti corrosione. Servono sia per le mani che per i piedi, alternativamente. Se siete stanchi ed avete davanti a voi un gradino, appendetevi con un moschettone (a grande apertura perchè entri nel gradino) fissato su un cordino corto (max 40 cm.) che parte dall'imbragatura e lasciatevi andare (oltre alla normale assicurazione). In tal modo sarete seduti nella vostra imbragatura e potrete riposare braccia e gambe.
Palette, attrezzi più piccoli dove si posano solo i
piedi, costruiti con tondino di ferro da calcestruzzo come sopra indicato, su cui viene saldata una placca (10x12 cm.) dove appoggia la suola della calzatura.
Mancorrenti, da utilizzare come prese per le mani
in zone molto ripide, traversate orizzontali od oblique e strapiombanti, costruiti con tondino di ferro liscio, lunghezza 150 cm. max, con stessa resistenza e trattamento anti corrosione dei gradini.
Scale, 
ce ne sono di vari tipi a seconda della parete (molto ripida o strapiombante) da passare, costruite con carico di rottura minimo di 1200 kg. In Italia sono piazzate verticalmente ed appoggiate sulla roccia, mentre spesso in Francia le piazzano più ludicamente (per generare più adrenalina) nel vuo
to più assoluto (tipo Les Vigneaux, Valloire, Pontamafrey, Thones...)
Passerelle/Ponti,
ce ne sono di vari tipi piazzate per collegare due pareti opposte, variano in lunghezza da 3 a 60 metri. Le più comuni sono le passerelle vere e proprie costituite da due cavi bassi, su cui sono fissate delle tavole di le
gno (larghe da 20 a 50 cm.) perpendicolari o parallele ai cavi stessi, su cui poggiano i piedi e due cavi superiori (circa 120/150 cm. più alto) dove ci si tiene con le mani, ed un altro cavo ancora più alto (170 cm.) dove si si ancora per l'assicurazione. Possono avere il piano di calpestio fissato alla roccia (non ballano troppo) o non fissato alla roccia (ballando molto in tutte le direzioni).Semitronchi di legno, (detti anche putrelle di legno), sono in genere usati per lunghezze fino a 6 o 7 metri, sono larghi da 10 a 20 cm., con un cavo a circa 150 cm. d'altezza per l'assicurazione, senza alcunchè per le mani.
Ponti himalayani o nepalesi o tibetani: (un cavo per i piedi, due cavi per le mani e un altro per l'assicurazione), sono lunghi anche 30 metri. Questi ballano, specie se sono lunghi.
Qui conviene progredire con le braccia tese rigide in avanti, per compensare un poco le oscillazioni del ponte. I piedi vanno piazzati a
lternativamente come se aveste i "piedi piatti", tacco verso l'interno e punta verso l'esterno.
Ponti delle scimmie, lunghi anche 30 metri, sono fatti con un cavo per i piedi, un cavo per le mani e, ovviamente un cavo per l'assicurazione. Anche questi ballano, specie se sono lunghi.
Su questi ponti la progressione naturalmente non può avvenire che con i piedi paralleli tra di loro e ortogonali al cavo su cui li appoggiate. In questo caso un cordino corto aggiuntivo, fissato tra l'imbragatura ed il cavo di assicurazione, da maggiore tranquillità psicologica e riduce la lunghezza del volo in caso di caduta. Tutte queste opere, sono costruite calcolando un coefficiente di sicurezza pari a 3 o 4 volte il peso massimo che devono sopportare. Per esempio la passerella della ferrata dell'Adret regge 30 tonnellate, quella della Grande Fistoire regge 40 tonnellate e gli ancoraggi penetrano nella roccia per un metro. In genere i gradini, palette, mancorrenti ecc. hanno un ancoraggio nella roccia da un minimo di 12 cm. fino a 20 cm. per le parti che devono sopportare un'assicurazione.
Rete, per poter passare su uno strapiombo o un tetto (via ferrata di Peille) i francesi hanno inventato un attrezzo (molto ludico) costituito da una rete (tipo pescatore) di maglia di ferro, morbida che va in fuori nel vuoto e vi permette di oltrepassare tetti non indifferenti. Pazzesca produzione di adrenalina.
Teleferica, attrezzo molto ludico composta da un cavo di acciaio che collega in pendenza moderata due pareti opposte tra di loro, da un minimo di 60 metri ad un massimo di 125 metri, con un altro cavo di assicurazione. Per p
ercorrerla serve una puleggia (PETZL modello di colore giallo) da collegare all'imbragatura mediante un moschettone con vite. Per volare dall'altra parte del cavo agganciate la puleggia al cavo della teleferica ed alla vostra imbragatura, agganciate tutti e due i cordini di assicurazione al cavo di sicurezza. Se non volete che il cavo di acciaio si mangi i moschettoni, uniteli dentro ad un moschettone piccolo di acciaio con chiusura a ghiera (maillot rapid), sarà lui a scorrere sul cavo della teleferica (a La Briga sono 125 metri che percorrerete in 6/7 secondi, ad una velocità di 20 metri al secondo) senza danni. Per frenare ci sono due modi: o usate le mani (guantate) sul cavo dietro alla vostra testa o tirate con forza i cordini dell'assicurazione (aumentando l'attrito del moschettone di acciaio sul cavo). Scivolate lungo il cavo della teleferica tenendo le gambe unite e tese davanti a voi, una mano (guantata) dietro la vostra testa per frenare se serve (altrimenti vi fermate a metà del cavo e tirarsi su con le proprie mani anche per 60 metri è durissimo). Fate attenzione che i capelli non si impiglino nelle ruote della puleggia. Il casco è una buona protezione, ma chi ha i capelli lunghi si accerti che non escano dalla calotta del casco. Per evitare di arrivare al fondo del percorso ruotati di 90% e sbattere di schiena, tenete una mano (guantata) sulla parte superiore della puleggia, su cui farete contrasto mentre l'altra mano resta dietro la vostra testa per eventualmente frenare.
Cavo d'assicurazione, in genere ha un diametro di 10 o 12 mm., se protetto da guaina di plastica essa deve essere trasparente (meglio per le mani ma crea qualche problema di conservazione al cavo) per permettere di vedere lo stato del cavo, deve essere trattato anti corrosione e la resistenza alla rottura deve essere di oltre 4 tonnellate.
Ancoraggi, a "spinotto" o a "coda di maiale" (per facilitare la progressione in cordata) sono in genere piazzati a massimo 3 metri l'uno dall'altro su tratti orizzontali o massimo 2 metri su tratti verticali per limitare il fattore di caduta. Devono avere una resistenza superiore a 2.5 tonnellate in senso assiale e 4 tonnellate in senso radiale.
bibliografia: le vie ferrate di Dario Gardiol

04/05/2012

Le vie ferrate (un pò di storia)

Ma cos'è una via ferrata? Tra le possibili definizioni scegliamo la seguente "un itinerario sportivo tracciato su una parete rocciosa, attrezzata con elementi specifici (gradini, pedali, maniglie, cavo, scale, corde di maiale ecc..) destinati a facilitare la progressione e a massimizzare la sicurezza di chi la pratica" (AFIT/SEATM 1998). Dopo di che dobbiamo dire che oramai, e specialmente in Francia, la tendenza è quella di costruire itinerari sportivi e ludici che diano sensazioni, anche forti, a chi percorre le ferrate di ultima generazione, inserendo tratti e attrezzature "esotiche" tipo le passerelle, i semitronchi, i ponti himalayani, i ponti delle scimmie, le teleferiche e la ricerca di percorsi in strapiombo, con scale aeree e vertiginose, che vanno avanti nel vuoto, al punto e dichiarato scopo di far montare l'adrenalina, battere il cuore, spremere i polmoni e produrre endorfine.
Da quando esistono le vie ferrate e perchè sono state create? Da molto tempo gli uomini hanno cercato di rendere più agevole l'accesso ad un colle, una cima, un rifugio. Così avvenne per esempio, nel 1492 (l'anno della scoperta dell'America), quando il re di Francia Carlo VIII ordinò al capitano De Ville di andare a vedere cosa c'era in cima al Monte Aiguille (Delfinato). Il capitano fu costretto a portarsi scale, corde, pioli di legno e metallo per arrivare in cima. Poi altra tappa nella storia delle ferrate fu l'equipaggiamento della via normale del Hoher Dachstein (Austria) nel 1843. Seguì nel 1869 l'attrezzatura con 400 metri di cavo della cresta che collegava le due cime del Grossglockner (3796 m.). Negli anni 1880 sul versante Est della Brenta le guide attrezzarono alcuni tratti per facilitare il passaggio dei loro clienti. Nel 1903 viene costruita la prima vera via ferrata da parte del Club Alpino Austro-Tedesco sulla cresta Ovest (3343 m.) della Marmolada (allora era il confine tra Austria e Italia). Ancora la via ferrata delle Mesule costruita nel 1912 al Pizzo Selva. Poi arriva la prima guerra mondiale con le sue aspre battaglie sull'arco alpino orientale. Nasce l'esigenza di avere posti di vedetta (anche per il tiro delle artiglierie) e di guardia su molte vette difficilmente raggiungibili e di permettere il collegamento tra le stesse al riparo dai tiri nemici. Dopo la guerra nasce, nel 1936, nel gruppo del Brenta la via delle Bocchette. Dopo la tragica pausa della seconda guerra mondiale si ricomincia a costruire vie ferrate in Italia a fini alpinistici e turistici, negli anni '60 e '70 ci fu quasi una corsa alla costruzione e le vie ferrate divennero di moda suscitando polemiche di retroguardia culturale da parte dei vecchi circoli dirigenti del CAI. In Francia la prima via ferrata risale al 1988 (Frassinieres): nel 1990 erano 3 nel 2001 circa 100 nelle Alpi più una ventina sparse dai Pirenei alle Ardenne. Un vero "boom". A fine 2001 sono oramai più di 600 le vie ferrate in Europa (Italia, Austria, Germania, Svizzera, Slovenia, Francia e Andorra). Si trovano tutti i tipi di vie ferrate: da quelle "storiche" a quelle all'italiana (poco ferro e tanta roccia) a quelle alla francese (molto ludiche, accanto alle città, con tanto ferro), gratuite e a pagamento, in riva al lago (Garda) e in riva al mare (Peille). Ce n'è oramai per tutti i gusti. Concludendo: le vie ferrate sono oggi un'attività turistico/sportiva che si offre a tutti. Più ludica della semplice escursione, la via ferrata offre delle grandi sensazioni di vuoto: l'itinerario serpeggia in genere su cenge, sentieri aerei, muri e placche esposte: è attrezzata con cavi, scale, gradini, mancorrenti, passerelle e altri equipaggiamenti che permettono al ferratista di compiere le sue evoluzioni su falesie e pareti altrimenti impraticabili, in piena sicurezza se si adottano tutte le necessarie precauzioni.

Statistiche curiose
Secondo un'inchiesta realizzata in Francia nel 1997:
- Le vie ferrate più frequentate in Francia erano: Les Vigneaux (66%), Valloire (60%), Fraissinieres (48%), Croix de Tolouse (40%)
- 12000 ferratisti all'anno percorrono la via ferrata di Les Vigneaux
- Il 46% degli itinerari è situato a meno di 1500 metri di altitudine, il 42% tra 1500 e 2500 metri, il 12% oltre i 2500 metri.
- Il 25% sono facili (F), il 63% di media difficoltà (D), il 12% molto difficili (MD)
- Il 30% hanno un tempo di percorrenza da 1 a 2 ore, il 40% da 2 a 4 ore, il 30% oltre 4 ore.
- Il 36% dei "ferratisti" sono donne, il che è largamente superiore alla maggior parte delle altre attività di montagna.
- L'età media è di 33 anni.
- Il 60% arrampica in gruppo.
- Tra i ferratisti il 64% pratica il trekking, il 60% lo scialpinismo, il 35% la mountanbike, il 33% l'arrampicata.
- Origine dei ferratisti: 40% area Rodano-Alpi, 17% Provenza-Alpi-Costa Azzurra, 10% Ile de France (Parigi e dintorni) ed il 9% sono stranieri.
- Il più anziano: un ottantaseienne francese che ha fatto (ho visto le foto) la Prises de la Bastille (D/MD) a Grenoble.
bibliografia: le vie ferrate di Dario Gardiol

13/02/2012

La Baio di Sampeyre

La Baio è una festa tradizionale che si svolge ogni cinque anni (prossima edizione 2012) nel comune di Sampeyre, in Valle Varaita nella provincia di Cuneo, tra le prime settimane di febbraio. E' una delle più importanti e antiche feste tradizionali delle Alpi italiane. Quella che cade quest'anno 2012 vedrà domenica 5 febbraio la Baio di Calchesio far visita a quella di Sampeyre dove gli Abà, capi indiscussi della festa, incrocieranno le spade in segno di saluto, domenica 12 febbraio convergeranno nel capoluogo tutte le quattro Baie, il 16 febbraio (giovedì grasso) si terranno i processi, le Baie giudicheranno il proprio Tesoriere accusato di furto ai danni della comunità.


Origini e tradizione
Le origini di questa festa sono molto antiche, risalenti attorno al 975 o al 980, quando le squadre di saraceni che erano penetrate nella valle per saccheggiarla vennero scacciate dalla popolazione locale. La festa è quindi la commemorazione della cacciata degli invasori musulmani, anche se alcuni hanno messo in dubbio questa ipotesi, forse diffusa nel XVIII secolo per ragioni turistiche. La Baio è composta da quattro cortei (o eserciti), provenienti dal capoluogo e da tre sue frazioni: Sampeyre (Piasso), Rore (Rure), Calchesio (Chucheis), e Villar (Vilà). Per tradizione al corteo partecipano solo gli uomini di ogni borgata, esibendosi con i complicati costumi tessuti dalle donne del borgo e interpretando anche i ruoli femminili; un'usanza che non ha risparmiato alla festa l'accusa di maschilismo. Il momento di comunicazione più profondo tra pubblico e interpreti è il ballo. La Valle Varaita è infatti considerata il più importante centro del mantenimento e della riscoperta delle tradizioni occitane, dove si sono conservati molti balli tradizionali e gran parte del folklore musicale, così, al suono dei violini, delle fisarmoniche, degli organetti e dei clarinetti, i festanti si esibiscono nella courento, nella gigo, nella courento di custiole, nella countradanso, nella tresso, nella bureo d'San Martin, nella bureo vieìo, nel mulinet e molte altre danze.


Il copioneLe uscite e gli incontri delle diverse Baio seguono un copione preciso dettato dalla tradizione, la seconda domenica precedente al giovedì grasso i quattro cortei sfilano nella propria borgata, tranne la Baio di Calchesio che si reca a Sampeyre per incontrare il corteo di Piasso; la domenica seguente le varie Baio partono alla volta di Sampeyre dove avviene l'incontro solenne: gli Abbà (i generali, chiamato l'ebraico padre) si scambiano un saluto con le spade, e sfilano fino alla piazza dove si formano quattro gruppi di ballo con i rispettivi suonatori.
Durante la processione del corteo si incontrano delle barriere formate da tronchi che simboleggiano gli ostacoli lasciati dai saraceni durante la fuga, esse vengono abbattute dai sapeurs (zappatori in occitano e guastatore in francese) con delle asce e si svolgono ballo e rinfresco; nel giorno del giovedì grasso, tutte le Baio a eccezione di quella del Villar sfilano nuovamente a Sampeyre per poi tornare alla propria borgata, dove avviene la chiusura della festa con il processo al tesoriere. Egli, infatti, cerca di scapparecon la cassa grazie all'aiuto di un segretario, ma viene tradizionalmente acciuffato e processato, graziati da tutte le Baio, essi vengono poi riprocessati al Villar, dove però vengono giustiziati.

I personaggi

Cavalie:
(cavallieri) rappresentano la cavalleria dei valligiani, e aprono il corteo di Calchesio e Sampeyre
Tambourn majour: guida il corteo di Calchesio e Villar, muovendo un lungo bastone a tempo di musica
Arlequin: è il sevizio d'ordine della Baio, che deve tenere indietro la gente spaventandola in modo burlesco per impedire che intralci il corteo
Sarazine:
bambine che fanno roteare un fazzoletto bianco come segnalein codice per l'esercito di liberazione, interpretate dai bambini più piccoli
Segnourine:
(signorine) vestite di bianco per simboleggiare la fine della schiavitù dai saraceni, sono interpretate dai ragazzi di età tra 1 10 e 16 anni
Tambourin: (tamburini) chiamano a raccolta il corteo e ne scandiscono il ritmo di marcia, e nel Villar è presente anche un suonatore di timballo
Sapeur: armati di asce, abbattono le barriere di tronchi lasciate dai saraceni in fuga
Grec: (greci) presenti nei cortei di Rore, Sampeyre e Calchesio, sono i giovani dai 17 ai 30 anni che interpretano i prigionieri greci, liberati dai valligiani. E' il ruolo meno vincolatodella festa
Escarlinie: rappresentano la fanteria dei valligiani, e sono armati di mazze ornate con edera, nastri colorati e campanellini
Espous: (sposi) coppie di giovani sposi che si limitano a una sola per il corteo del Rore
Segnouri: (signori) sono i benestanti del paese che ora possono girare liberamente senza paura dei saccheggi dei saraceni, parte dei cortei di Rore, Sampeyre e Villar
Sounadour: (suonatori) sono i musicisti del corteo che suonanoper il ballo, occasionalmente anche per più di ventiquattro ore consecutive
Uzuart: sono le guardie che scortano gli Alum, armati di spada o fucile
Granatìe: scortano i Tezourie e li giustiziano, sono presenti solo al Villar
Morou: (i neri) e Turc, i primi viaggiano a dorso di mulo o asino e sono prigionieri liberati dei saraceni, i secondi sono prigionieri saraceni, viaggiano incatenati a piedi e sono presenti solo a Sampeyre
Vièi e Vièio: (il vecchio e la vecchia) sono i personaggi che chiudono il corteo in modo ridicolo, ansimando e fingendo di non riuscire a tenere il passo, Sono vestiti di stracci e portano una culla con dentro un bambino (una bambola) e un fiascone di vino
Cantinìe: (cantiniere) corre su e giù per il corteo accertandosi che a nessuno manchi da bere


Gli Alum e gli AbàGli Alum rappresentano lo stato maggiore della Baio, e vengono eletti ogni cinque anni. Ogni volta che una Baio si conclude vengono eletti due elementi il cui scopo è quello di fare "carriera", che viene intesa come una carriera militare il cui avanzamento è automatico a ogni manifestazione. I due nuovi Alum iniziano con il grado di Tenent (tenente) a Sampeyre, Calchesio e Villar, mentre a Rore viene chiamato Soutportobandiero (sottoportabandiera). Nell'arco di dieci anni i due Alum di Rore diventeranno Portobandiero (portabandira) e infine Abà, cioè comandanti dell'esercito e organizzatori della festa, con la responsabilità di girare di casa in casa ogni sera nei mesi precedenti la festa, e accordarsi con ogni famiglia sui ruoli da ricoprire. Dopo essere stati Abà, i due diventano Segretari (incaricati di tenere un registro sulla Baio e verbalizzare quanto di importante ci sia da tenere) e Tezourie (tesorieri incaricati di gestire la cassa della festa). Un volta terminata la carriera, essi sono liberi di interpretare un altro ruolo o iniziare una nuova carriera.

fonte Wikipedia

01/12/2011

Una razza particolare - l'Homo Escursionisticus


Parleremo oggi di una razza molto curiosa che abita tutte le nostre Alpi: l'homo escursionisticus. Tale razza non è da confondere con i simili homo scialpinisticus e homo arrampicatorius, nei confronti dei quali vanta differenze sostanziali, anche se tutti si possono trovare nello stesso habitat. Il suo abbigliamento per primo lo contraddistingue. Infatti è sempre completamente vestito da alta montagna con scarponi, camicia e maglione di lana anche a luglio, zaino da spedizione himalayana, a volte piccozza. Però l'inarrestabile evoluzione sta portando rapidamente a mutamenti e ormai il maglione è stato quasi soppiantato dal pile e la piccozza dai bastoncini telescopici. Si avvistano però ancora spesso esemplari muniti di piccozza, normalmente di vecchio tipo in legno. Trattasi di soggetti anziani della sottospecie nostalgicus. Altra caratteristica curiosa e unica è che lo zaino viene portato solo dai maschi, anche quando esso è di dimensioni mostruose, mentre le femmine salgono senza alcun peso sulle spalle, lamentandosi spesso della fatica che comporta la salita in queste condizioni disagevoli. Il maschio invece pare non abbia il diritto di lamentarsi. Esiste a questo proposito anche un aspro ma saggio detto nelle tribù: "Se vai in montagna senza la consorte spendi la metà e ti diverti il doppio". Spesso, specie a bassa quota, egli è anche seguito dai suoi piccoli, che salgono entusiasticamente (col cavolo; vorrebbero essere a casa a giocare con la play-station e una volta maggiorenni non li vedrà più sulle cime). Questa razza ha una particolarità simpatica: saluta tutti quelli che incontra sul sentiero e dà loro subito del tu; fanno eccezione alcuni individui che ti passano sui piedi senza vederti, recentemente classificati nella sottospecie malus educatus. La maggioranza dei componenti di questa razza si riunisce tutte le settimane in luoghi sacri detti "Sede CAI". Qui dopo aspre lotte per avere la supremazia e imporre ognuno il suo volere, decidono un luogo detto "meta" ove andare nel fine settimana. Nei giorni che intercorrono fra riunione ed escursione si assiste al rito delle "previsioni del tempo". E' un rito individuale al massimo; ognuno ha le sue preferenze in merito. Chi guarda il cosiddetto Primo ("Caroselli è quello che ci azzecca di più"), chi Canale 5 ("La RAI è a Roma e non sa nemmeno che esiste il Piemonte"), chi, più evoluto, consulta Internet. C'è anche chi per andare sul Rocciamelone ascolta le previsioni della TV svizzera ("Non sbagliano mai") e per interpolazione logaritmica si fa la sua previsione personale. Se si intravvede la probabilità di tempo brutto, l'esemplare che ha più iniziativa fa il cosiddetto "giro di telefonate" per stabilire se andare o no. Qui la tribù ha un'altra spaccatura interna, questa volta fra "ottimisti" e "pessimisti". I primi vorrebbero partire anche se è previsto un periodo monsonico di un mese; i secondi, che hanno sentito che sulla Cina e forse anche sulla Russia potrebbe essere nuvolo, si oppongono e sovente si ritirano dall'escursione. Va da sè che i primi dopo aver camminato otto ore sotto l'acqua salgono in macchina commentando "Beh, in fondo è stata una bella gita" mentre i secondi, quando poi al mattino splende il sole, vanno spesso soggetti ad attacchi di fegato. Parlando di salute, apro una parentesi sulla cronica mancanza di memoria che affligge questa specie. E' molto raro che tutti si ricordino di portare tutto quello che serve e le manovre indispensabili. Normalmente almeno uno nel branco dimentica: gli occhiali scuri e/o i ramponi per una salita di 6 ore su ghiacciaio, il mangiare (non stupitevi, succede), come si fa un nodo a otto o un prusik, la macchina fotografica, la giacca a vento (a gennaio) lo zaino (in privata sede fornirò a chi fosse interessato nome e cognome di un esemplare di mia conoscenza a cui è successo di partire senza e accorgersi della sua mancanza sulle spalle solo venti minuti dopo). E' già anche accaduto che un esemplare si dimentichi che il giorno dopo deve partire per l'escursione. Ma sono casi estremi. Seguiamo ora un gruppo di individui durante questo spostamento settimanale, da loro chiamato "escursione". Si alzano molto presto, all'alba o anche prima. I nostri esemplari hanno dormito con un occhio solo, per non fare suonare la sveglia, il che attirerebbe su di essi le ire della loro compagna. Pertanto praticamente non hanno dormito tutta la notte e cadono regolarmente in catalessi dieci minuti prima dell'ora fissata, cosicché non sentono assolutamente la sveglia, che viene però ben avvertita da tutto il condominio. Frugale colazione, poi la partenza. Arrivati in fondo alle scale si ricordano di aver dimenticato un pezzo essenziale, e tornano su trafelati risvegliando la compagna che si era appena riaddormentata. Essa si vendicherà su di loro andando alle Gru durante la loro assenza, svuotando così il loro conto in banca. Recuperato tutto, si dirigono al "punto di ritrovo". Questo è un posto ben noto a tutti, meno a uno solo della tribù, che arriva con venti minuti di ritardo e che viene immediatamente assalito a piccozzate dagli altri. Poi si parte in auto. Si possono avere qui due casi tipici : pochi esemplari ben affiatati in una sola macchina; molti esemplari male assortiti in una o più macchine. Nel primo caso normalmente il viaggio non ha storia e si arriva in fretta alla meta. Nel secondo, in base a un fenomeno fisico non ancora ben individuato, si verificano numerose fermate in tutti i panettieri, bar e distributori di benzina che si incontrano sulla strada e l'arrivo alla meta è sempre almeno mezz'ora dopo quello preventivato. Qui si assiste a un importantissimo rito tribale : la "vestizione". Tutti indossano gli abiti adatti all'escursione. Però vi sono anche qui varianti del rito. Chi è poco ossequiante della sua sacralità si infila gli scarponi, si mette lo zaino in spalla ed è pronto in due minuti. I più rispettosi, dopo essersi cambiati tutti gli indumenti, infilano e tolgono gli scarponi almeno tre volte aggiustandosi le calze, si mettono il maglione ma poi dopo aver guardato il cielo se lo tolgono, cercano nello zaino una cosa che non hanno portato, regolano al millimetro l'altezza dei bastoncini, mettono su lo zaino e poi si ricordano che hanno ancora le chiavi della macchina in mano, cercano nello zaino il cappello, ma poi si accorgono di averlo già sulla testa, ecc. Insomma, quando vi sono nel gruppo degli escursionisti ortodossi, si parte almeno dopo una buona mezz'ora, con gli altri del gruppo che fumano (non sigarette). Nell'escursione molta importanza hanno le frasi rituali che si devono sempre pronunciare a tempo debito. Le elencherò man mano. Si dà inizio all'escursione con la prima frase "Preso tutto? Andiamo!" e dopo un paio di minuti con la seconda "A che ora siamo partiti? Non ho guardato l'orologio." C'è sempre un esemplare, detto il "capobranco" che parte in tromba, a muscoli freddi, facendo scoppiare gli altri. Se però questi sono furbi lo lasciano andare e lo raccolgono dopo poca strada completamente fuso. A quel punto passa in testa uno più normale che notoriamente tiene un'andatura più calma, e che diventa a sua volta capobranco. Se non sbaglierà sentiero e non prenderà scorciatoie egli manterrà la carica per tutta la giornata. A proposito di andatura un prezioso dettaglio. La velocità di questi esemplari è di circa 400 metri di dislivello all'ora, valore che essi definiscono "tempo canonico". Ritorneremo su questo dato quando parleremo dell'arrivo in vetta. Torniamo all'escursione. Salendo, il branco si sgrana sui pendii. Normalmente l'esemplare che è in testa ha fiato da vendere e continua a chiacchierare imperterrito, mentre gli altri ansimano penosamente. Così non appena il capobranco dice la frase "Ci fermiamo e mangiamo qualcosa?" tutti si buttano a terra e non si muovono più, sfiniti, mentre il capo divora velocemente cioccolate e marmellatine. Così quando si riparte lui è ancora più pimpante e gli altri ancora più scioppi. Il capo di solito a questo punto decide di abbreviare il percorso approfittando di tutte le scorciatoie che trova, che di solito hanno pendenze vicine agli 80 gradi. Qui spesso viene coperto di insulti e perde la sua carica. Molto particolare la serie di frasi rituali che sempre si recitano salendo: dopo dieci minuti dalla partenza "Che caldo! mi tolgo il pile" dopo mezz'ora "Fa più freddo adesso. Mi rimetto il pile" dopo un'altra mezz'ora "Che caldo! mi tolgo il pile"dopo un'altra mezz'ora "Fa più freddo adesso. Mi rimetto il pile"e così via. Altre:" Oggi le gambe proprio non girano" "Come pesa questo zaino. Chissà che cosa ho messo dentro di pesante" "Me la ricordavo più corta questa salita" "Accidenti, stanno arrivando le nuvole!" "Mi sa che oggi ci bagniamo" Dopo qualche ora di marcia si assiste al fenomeno delle "visioni". Uno di quelli più scioppi esclama "Ecco la punta!". Gli altri guardano ma non vedono e in effetti la punta non c'è ancora proprio. Il fenomeno si ripete più volte, seguito spesso dal crollo di chi ha avuto la visione, che non vuole più muoversi e chiede che lo seppelliscano lì sul posto. Quasi contemporaneamente si ha il secondo fenomeno detto "della predizione" Il capobranco in carica dice con fare convinto: "Solo più dieci minuti e siamo arrivati" e lo ripete più volte nell'ora e mezza successiva. Avviene spesso che alla quarta o quinta predizione egli venga messo a morte dagli altri individui improvvisamente inferocitisi per non si sa quale motivo. Quando si avvista veramente la punta si assiste ad un effetto di accelerazione progressiva, per cui gli ultimi metri sono percorsi quasi di corsa, anche da coloro che hanno avuto prima le visioni. Arrivati in punta la prima cosa che tutti fanno è guardare l'orologio, dire una cifra e poi la frase rituale: "Quanto dava il cartello alla partenza?". Se la risposta è una cifra superiore a quella detta da loro sono felici e radiosi; se è uguale si esclama "Tempo canonico"; se è inferiore, il sorriso scompare dal loro volto e cominciano a commiserarsi, dicendo di non essere più quelli di una volta. Secondo rito da compiere sempre, anche se piove o si è immersi nella nebbia, è "la foto di vetta". Tutti si allineano sulla punta e il celebrante pone un misterioso aggeggio su un trespolo, lo tocca e poi corre ad unirsi agli altri. Il gruppo sta fermo per dieci secondi esatti poi ripete la cerimonia con il secondo celebrante e un secondo misterioso aggeggio simile al primo, e così via finché tutti non hanno officiato il rito. Ogni tanto l'aggeggio cade a terra e allora si sentono alte lamentazioni da parte del suo possessore. Terzo rito è la "firma del libro di vetta", un misterioso e antico libro che si trova su quasi tutte le cime, portato non si sa da chi. Tutti appongono il loro nome su questo libro e i più spiritosi aggiungono commenti vari non richiesti e la cifra citata nel primo rito, ma solo nel caso che essa sia molto inferiore a quella del famoso cartello. Ultimo rito propiziatorio è sempre la consumazione delle vivande portate nello zaino. Qui si assistono a strane scene. Parte degli esemplari si nutre di poco e consuma parcamente un panino e una mela. Altri nello stesso tempo impiegato dai primi arrivano a mangiare: una biova, un etto di mortadella, una frittata alle cipolle, una fetta di toma da un etto, tre uova sode, due brioches, una tavola di cioccolata, un barattolo di nutella, una o più banane, ecc. il tutto accompagnato dalla cosiddetta "bota stopa". Normalmente si individuano in quelli che spesso dicono: "Mi mangio come 'n pipì". Ultimamente una setta che purtroppo trova sempre nuovi proseliti ha ideato uno strano rito di vetta. Consiste nell'estrarre dallo zaino un piccolo oggetto rettangolare, nell'accostarlo ad un orecchio e poi parlare a voce alta. Non si è ancora stabilito il fine di queste manovre, che alcuni studiosi vorrebbero individuare in un simbolico colloquio con la consorte o altro familiare. Le frasi rituali in questo caso sono: "Non c'è campo. Il tuo prende?" "Il mio ha quattro tacche" "Quando c'è il vento o piove non si prende niente" "Ma tu hai Tim o Omnitel?" "Porc...... E' caduta la linea !!!" Nel mondo scientifico si spera che la setta si estingua presto, per eliminare l'inquinamento acustico che si sta producendo sulle vette. Frasi rituali tradizionali in vetta: "Sono meno stanco di quello che pensavo" "Sono così stanco che non sarei più riuscito a fare nemmeno un metro" "Ma Tizio si è perso? Non lo vedo ancora" "Potevamo andare anche un po' più piano" "Siamo andati troppo piano" "Non c'è nemmeno un posto comodo su questa punta" "Che spettacolo!" "Non si vede un tubo, porca miseria!" "Si sta benissimo oggi, non andrei mai giù" "Sto congelando, mangiamo solo un boccone e via". Dopo, alcuni piombano in un sonno profondo lungo anche un'ora, altri, che si è constatato essere quasi sempre soci di una sezione CAI, condensano tutti i riti di cui sopra in dieci minuti o meno e ridiscendono in tromba, pronunciando la formula magica "Così siamo a casa presto". Non si capisce la ragione di questa fretta, con la prospettiva sempre incombente di prendersi da bere dalla moglie (vedere punto "ritorno a casa") . La discesa è caratterizzata da altri fenomeni, diversi ma molto interessanti. Il primo consiste nell'anomalo aumento della temperatura dei piedi, a volte tale da dover compiere abluzioni rituali nei ruscelli che si incontrano. Si assiste ad un altro importante fenomeno quando un componente del branco si stende improvvisamente a terra sul sentiero, dicendo la frase rituale "Sono inciampato". Questo è seguito dall'estrazione dallo zaino di pozioni magiche chiamate "alcool" o "acqua ossigenata" con cui si cospargono le ginocchia e i gomiti dell'esemplare. A volte anche il naso. Frasi rituali in discesa: "Ma come abbiamo fatto a fare tutta questa strada salendo?" "Ma non finisce più?" "Mi fanno male i calli" "Questo zaino mi sega le spalle" "Io quello lo farei fuori, non è mai stanco" Spesso la discesa avviene su rocce e roccette. Qui questa razza impiega una sua particolarissima e segreta tecnica denominata "Kul-e-mann", dallo scienziato che per prima l'ha studiata. In caso di discesa su ripidi pendii a bassa quota viene invece da loro impiegata la tecnica detta "arbust-traction". Per scendere velocemente alcuni individui un po' fuori di testa scelgono la cosiddetta "via dell'acqua" che a loro dire è sempre la migliore, e si infognano in erti canaloni pieni d'acqua che poi dovranno risalire dato che al fondo c'è quasi sempre una cascata alta 50 metri. Quando tali individui fungono da capobranco, raramente sopravvivono poi alla furia degli altri. Arrivati alle auto si ripete il rito della vestizione con tempi analoghi a quelli del mattino. Poi il gruppo si disperde su varie strade, passando però spesso dalla prima piola che trova per le libagioni propiziatorie dette "bevuta per celebrare la buona riuscita della gita" ( o "bevuta per consolarci del fatto che ha piovuto tutto il giorno" a seconda dei casi). Le ultime cerimonie vengono poi svolte da soli, in casa. Consistono nel buttarsi sulla prima poltrona che si incontra e di non muoversi di lì se non per far cena e per andare poi a letto, e nel prendersi regolarmente da bere dalla moglie. Sue frasi rituali: "Stamattina non mi hai fatto dormire con la tua maledetta sveglia!" "Non potevi arrivare più presto ? E' da ore che ti aspetto" "Potevi arrivare più tardi. Stavo così tranquilla da sola !" "Puzzi come un caprone" "Attento a dove metti quello zaino sporchissimo. Mentre tu andavi a divertirti io ho dato la cera!" "Cosa fai stravaccato sul sofà?" "Scommetto che stasera vai a letto alle nove e poi russi tutta la notte." Il giorno dopo, l'escursione viene ancora ricordata mediante dolori vari che assalgono specialmente i polpacci e con il cospargimento degli stessi con creme lenitive. Per tutta la settimana la tribù starà poi quieta, non muovendosi mai, fino ad essere nuovamente assalita dalla frenesia camminatoria nel fine settimana seguente. Una piccola trattazione a parte riguarda le migrazioni di più giorni effettuate in estate e denominate "escursioni con pernottamento in rifugio". Esse sono precedute da terribili lotte con la consorte che assale l'esemplare maschio pronunciando le frasi: "Vai sempre via a divertirti" "E io cosa faccio a casa?" "Ma sei già andato in rifugio cinque anni fa!" "Ma non potresti farla in giornata ? Mi hai detto che sono solo 2500 metri di dislivello!" Se si riesce a vincere la lotta, si può partire. L'escursione si svolge come le altre, meno che per il fatto che lo zaino pesa il doppio del solito. Il primo giorno prevede la sosta in un luogo sacro detto "rifugio", dove vengono forniti generi di sostentamento chiamati "minestron" e "polenta concia". La tribù vi dorme anche, normalmente poche ore in quanto il vicino di branda immancabilmente russa e vi è sempre una banda di individui che all'indomani non devono andare da nessuna parte e che fanno casino fino a tardi. La tribù si vendica al mattino facendo casino presto. Al mattino avviene il rito "dell'alba". I nostri individui si alzano almeno mezz'ora prima di questa, e quando si può anche due o tre ore prima. Poi il più delle volte tornano subito a letto perchè piove o nevica. Le poche volte in cui il cielo è pulito, la tribù si avvia portando sulla testa luci propiziatorie dette "pile frontali" che li mollano poi regolarmente nel mezzo di un tremendo ciaplè. Dopo di questo l'escursione segue i soliti riti già descritti, con la differenza che vista la breve dormita e la levataccia, in punta ne arriva nemmeno la metà, e al ritorno si addormentano tutti già in macchina (a volte anche l'autista). E con questo concludo la mia trattazione, che spero sia stata esauriente, anche se, essendo la razza in continua evoluzione, nuovo materiale si va aggiungendo continuamente . Mario Alpinisti socio CAI sezione di Pianezza

19/07/2011

Monte Bianco 4810 m.

MONTE BIANCO 21/09/1987
Il momento tanto atteso finalmente è arrivato. Dopo un intenso inverno di sci-alpinismo e un’estate di escursioni, tutto è pronto; io, Andrea Viano (allora aspirante G.A) Claudio, Giancarlo e un amico di Andrea, il 20 settembre 1987 ci avviamo verso il Monte Bianco, con l’intenzione di salirlo (ovviamente) e dal suo versante più accessibile (quello francese per intenderci).Arrivati in Valle d'Aosta “Egli” ci appare. Il tempo è bello, danno solo il passaggio di una breve perturbazione in serata, ma domani dovrebbe essere stupendo. Confidiamo (le previsioni nel 1987, non erano di certo attendibili come oggi) e pensiamo con invidia ai fortunati che in questo momento sono in cima. Speriamo che domani sia veramente così. Attraversiamo il tunnel e raggiungiamo la stazione del "Trenino del Mont Blanc ". Scarichiamo armi e bagagli e saliamo. Il percorso è lungo ma piacevole, ma alla fine arriviamo (con molti altri che hanno lo stesso obbiettivo) al Nid d’Aigle. Finalmente il Nid d'Aigle! Zaini in spalla e via (con la previsione di almeno 4-5 ore di marcia) sul l sentiero che, con innumerevoli tornanti, ci porta fino al rifugio Tete Rousse. Da qui si vede distintamente la meta (meglio sarebbe non guardare) della giornata : il rifugio Goùter, ben visibile su uno spuntone. Sembra vicino, ma così non è; ci vorranno ancora più di tre ore per raggiungerlo. Il percorso si presenta senza neve, appare il famoso e temuto canale da attraversare. Questo è sicuramente il tratto più pericoloso della salita. Da fare possibilmente di corsa, schivando i proiettili che arrivano dall’alto. Con un po' di paura lo superiamo fortunatamente tutti indenni e iniziamo l'infinita arrampicata sulle rocce che portano al rifugio.Finalmente sfiniti raggiungiamo il rifugio e cerchiamo una illusoria sistemazione (a quei tempi il rifugio era quello vecchio, max 70 persone, mal contati eravamo 200), in attesa della cena (in orario ospedaliero) approfittiamo per fare fotografie (poche, esistevano solo i rullini e costavano). Dopo un frugale pasto (i rifugi francesi non offrono molto, e l’acqua costa più dello champagne), ci invitano ad uscire dal rifugio per riassettare. Tempo 10 minuti, e rientrati il posto più comodo per sistemarsi, era sotto il tavolo (fortunato chi ci è riuscito). Io dovrò accontentarmi di dividere un pezzo di panca con un “cugino” francese (a spintoni ovviamente). Notte lunghissima, se consideriamo che sono solo le 20 (sigh!) Risveglio fissato per le ore due. Superfluo dire che non dormiamo un granchè sia per la stanchezza sia per l'ansia che ci tormenta, e sia per quel francese che continua a spingere per mettersi comodo. Riusciremo ad arrivare in vetta? La sveglia è una liberazione. Una misera colazione e poi ci prepariamo. Verso le tre la partenza alla luce delle pile frontali, temperatura decisamente fresca ma con cielo stellato. Si intravede una lunga fila di lucine sui primi pendii, poi sempre più duri. Arriviamo alla capanna Vallot alle prime luci dell'alba, e ci rincuoriamo. La cresta delle Bosses ora è lì davanti a noi, sembra dura, ma si rivelerà anche peggio. L’affrontiamo e ci avviamo a passo lento, l'aria comincia un pò a mancare; più si sale e più si soffre. Mi consolo vedendo che anche le altre cordate non corrono.. La velocità si riduce ancora. Pochi passi e una fermata, cercando di trovare un po' d'aria. I momenti di sconforto si susseguono, ma rinunciare ora, significherebbe non tornare un’altra volta; non avrebbe senso. Rinunciare sarebbe una follia. Proseguiamo sulla cresta che si fa sempre più esile, mentre cominciamo ad incrociare le prime cordate che già scendono. Ad un tratto, senza più pensieri tutto finisce: non c’è più salita, è la vetta. Quasi non ci credo, sono sul tetto d'Europa, ce l'abbiamo fatta! Ci complimentiamo con delle strette di mano, scattiamo le foto di rito,che mai come questa volta sono tanto importanti per fermare questi attimi. Non possiamo che guardarci intorno con la splendida visione delle vette sotto di noi. Altre cordate arrivano dal monte Maudit, ancora più stravolte di noi. Rimaniamo per un po' in vetta, non fa neanche troppo freddo e vogliamo raccogliere più emozioni possibili da ricordare. Bisogna però scendere. Ci avviamo con prudenza sulla stretta cresta e iniziamo l'infinita discesa che ci porterà prima alla capanna Vallot, dove poco più sotto ci fermiamo al sole a mangiare qualcosa; per la prima volta in vita mia, avevo comprato le famosissime barrette energetiche, sponsorizzate allora da Messner, fortunatamente dopo la prima sono riuscito a fare un cambio, (per me molto vantaggioso), con un altro alpinista con pane e salame, poi ancora una lunga discesa verso il rifugio del Gouter, finalmente in luoghi più sicuri. Ancora una meritata sosta al rifugio, poi la cresta rocciosa sino al maledetto traverso. Infine senza più problemi alla partenza del trenino, con i piedi a dir poco fumanti. Arriveremo esausti a valle con la voglia di piantare lì tutto e con un solo pensiero “ma chi me lo fa fare”. Ma la settimana dopo siamo di nuovo impegnati su altri itinerari, come sempre.

27/09/2009

Ferrate in Dolomiti, alcune considerazioni...

Percorrendo in questo settembre 2009 alcune ferrate in Dolomiti, Tridentina, Torre di Toblin e Piz da Lech; non ho potuto fare a meno di pensare cosa siano stati gli anni della Grande Guerra che videro l'Italia contrapporsi agli eserciti tedesco ed austro-ungarico sul fronte dolomitico, e cosa siano per noi oggi le ferrate che abbiamo percorso e cosa siano invece state per i soldati che si prodigarono per rendersi la vita meno dura possibile, su queste bellissime cime. Quello che i soldati fecero su questo fronte (e non solo) è semplicemente incredibile: lunghe gallerie scavate nella roccia a colpi di mina e piccone, ponti sospesi per superare passaggi altrimenti insuperabili, postazioni arroccate su pareti impressionanti sono ancora oggi visibili. Ma proprio su quanto scritto poc'anzi vorrei soffermare l'attenzione, per fare un confronto con le Ferrate presenti sulle nostre Alpi Occidentali. A differenza di quelle dolomitiche dove pioli di scale e cavi metallici, che nacquero per mano dei soldati per esigenze assolutamente non sportive, (ma perchè dovevano muoversi con relativa sicurezza lungo versanti pericolosi ed esposti, per approvvigionarsi di viveri e materiali bellici), le tre Ferrate da me percorse, mi sento di giudicarle meno impegnative delle nostre. Questo non significa che vadano sottovalutate anzi... tutte e tre sulla scala delle difficoltà vengono considerate come "difficili" e a mio avviso, i pericoli maggiori provengono dalla massiccia frequentazione di queste ferrate, con l'aggiunta che non tutti i fruitori siano persone preparate fisicamente e con un'adeguata attrezzatura. Purtroppo ho visto persone senza casco e con due semplici cordini, ho assistito ha scariche di sassi (anche di notevoli proporzioni) dall'alto, provocate da persone che percorrono le ferrate di corsa, con sorpassi a dir poco azzardati, aggrappandosi al cavo, forse senza neanche sapere che il cavo serve solo per la sicurezza.. Ora non saprei in quale ordine di bellezza mettere queste tre ferrate, ma direi che la Torre di Toblin pur essendo tecnicamente la meno difficile è sicuramente la più appagante come panorami. La Piz da Lech è tecnicamente la più impegnativa, avendo come progressione (eccetto le due ripide scale finali) solo il cavo di sicurezza. La Tridentina... beh! è una classica e va fatta sicuramente. L'augurio per chi dovesse percorrere queste (o altre ferrate) in Dolomiti è quello di ricordarsi sempre che quello che oggi troviamo ancora percorribile, sovente dopo interventi di manutenzione, vada considerato come testimone silenzioso di un pezzo di storia umano e drammatico che non si può e non si deve dimenticare.