12/12/2011

Ferrata di Lantosque 475 m.


Ferrata molto bella in un contesto ambientale unico, divertente e varia e non particolarmente impegnativa. Fresca nel periodo estivo. Nel caso si decida di percorrere questa ferrata fuori stagione come abbiamo fatto noi, consiglio vivamente di telefonare prima per sincerarsi della sua apertura.


Periodo: Aprile - Ottobre
Difficoltà: D
Dislivello complessivo: 150 m. 
Tempo complessivo: 3 ore
Vie ferrate di Dario Gardiol
Aperto luglio/agosto tutti i giorni ore 9/19 poi nei week end, prenotazioni 0033.685020551
(nelle stagioni intermedie, conviene telefonare per sincerarsi dell'apertura). Al chiosco si acquista il biglietto (7 euro a persona).

Accesso stradale: Col di Tenda,Breil sur Roya, Col de Brouis, Sospello, Col de Turini e Lantosque. Oppure Colle della Lombarda, Isola,St. Sauveur s. Tinèe, Col St. Martin s. Vèsubie e Lantosque dove si parcheggia l'auto dopo il ponte sul Riou.






Descrizione: seguire in discesa (accanto alla posta) i cartelli che portano in breve al ponte dell'attacco nel canyon. Si scende tra una parete e l'altra grazie a due putrelle (3-4 metri ciascuna) e tre passerelle (8-10 metri ciascuna). Qui il Riou ha creato delle belle cascatine, scivoli e laghetti e, man mano che si procede il lieve borbottio del Riou viene sovrastato dal fragore del Vesubie che si raggiunge in una confluenza spettacolare (a metà tra l'attacco e qui, c'è una scappatoia) caratterizzata da un ponte delle scimmie che porta al grande masso incastrato nel canyon su cui si transita e poi si continua sulla riva orografica sinistra risalendo a monte. Questo tratto è tutto in traversata (spesso tira di braccia) fino all'antico ponte dell'acquedotto in alto sul fiume. Qui si attraversano una passerella e tre ponti delle scimmie, di cui uno spettacolare fatto ad L. Sulla riva sinistra una rientranza viene superata con un ponte delle scimmie e quando si ritorna sulla parete, immediatamente si continua ad angolo retto con il ponte delle scimmie e si attraversa il torrente (28 metri il 1° tratto e 16 metri il 2° tratto). Gli altri ponti sono lunghi 20 metri l'uno. Poco prima del primo spettacolare ponte delle scimmie c'è una ripida scappatoia Sortie des Jardins che porta in alto al paese. Si continua al vecchio acquedotto, si attraversa il Vesubie con un ponte delle scimmie e presto inizia la risalita che porta fuori del canyion e alla fine della ferrata, accanto alla grande passerella. Ora si hanno tre scelte: un sentiero che porta in basso verso un ponte e a Lantosque, una curiosa passerella oppure la teleferica. La passerella (70 metri) è sospesa a dei cavi alti, c'è il cavo di assicurazione e un cavo verticale ogni 1,5 metri alternato per parte, niente mancorrente; all'inizio fa un po' di impressione. La teleferica parte da una piattaforma, si incurva e arriva ad un'altra piattaforma di legno (freno a molla ed elastico) come quella di Tenda. Poi si risalgono una decina di metri facili e si arriva alla piazzetta tra il cimitero e la chiesa. Da qui al parcheggio in dieci minuti.

11/12/2011

Ferrata di L'Escale a Peille 700 m.

Ferrata impegnativa, con almeno quattro strapiombi (due nella prima parte) non lunghi ma alquanto faticosi, per cui arrivati alla fine della rete (non difficile) occorre valutare bene quale percorso intraprendere. Se si decide di affrontare a sinistra il "Surplomb de la Justice" occorre avere ancora parecchia "birra" (visto da sotto è veramente duro). Io ho optato per il percorso di destra, tira di braccia, ma è più facile. La carrucola (evitabile) non è ne lunga ne impressionante, ma bisogna fare attenzione a non arrivare troppo veloci alla fine (per via del gradino nascosto tra i materassi). Per il resto è una ferrata bellissima e soddisfacente, in un contesto ambientale eccezionale.
Periodo: Tutto l'anno
Difficoltà: D/MD+
Dislivello complessivo: 200 m.
Tempo complessivo: 3:30 ore
Vie ferrate  di Dario Gardiol
Accesso: dall'autostrada per Montecarlo, uscire a Roquebrune-Monaco-La Turbie, poi a destra per Peille (RD53) e dopo la Maison de Retraite (inizio di Peille) prendere la prima strada in salita a destra per il parcheggio vicino al cimitero. Da qui ritornare sulla RD53, scendere a place de la Rèpublique, passare dal bar l'Absynthe (biglietto 3 euro per la sola ferrata, volendo si può noleggiare tutta l'attrezzatura, compresa la puleggia per la teleferica), scendere a piazza dell'Arma dove si prende a destra la sterrata che cala alla ChapelleSt. Jean Baptiste (ruderi) e da li subito a destra verso la passerella inferiore che porta allo sperone roccioso dove inizia la ferrata.

Descrizione: si inizia subito su placche e muri aerei e tira braccia (D+), poi una traversata aerea (D) e la passerella di 32 metri (via di fuga subito prima). Un muro verticale ed una aerea traversata ascendente a destra portano sotto la strada ad un muro (due strapiombi tira braccia D+/MD), poi un terrazzo (via di fuga). Da qui si sale al primo ponte delle scimmie lungo 15 metri che conduce alla traversata degli strapiombi, il quale dopo uno spigolo scende alla grotta, che si attraversa in discesa per uscire da un'apertura da dove si vedono l'altra grotta e la rete. Qui,o si passa dal tetto di roccia con la rete di ferro alta 15 metri (con la faccia rivolta verso valle), oppure si continua dritto, piedi su un cavo tira braccia (D). Chi passa dalla rete, esce sulla parete strapiombante tira braccia e deve scegliere: o continua prima dritto e poi a sinistra per qualche duro, aereo e strapiombante metro in traverso ascendente, poi quasi dritto-strapiombante (MD+) e poi a destra, sempre duro, e infine si prende il tratto che traversa in piano, duro di braccia (D+), passa 15 metri sopra la rete verso destra e conduce al secondo ponte delle scimmie (vedi sotto); oppure va a destra in orizzontale, esposto e tira braccia (D+) fino ad arrivare circa 12 metri a destra a congiungersi con il percorso inferiore che sale dopo la rete. Chi evita la rete, continua in orizzontale ad una placca verticale che sale in parete e raggiunge la citata uscita dalla rete. Un muro verticale ed ecco il secondo ponte delle scimmie lungo circa 30 metri (rivolto verso il vuoto). Dopo qualche muro si arriva alla teleferica (evitabile) lunga 65 metri che porta in pochi secondi sulla cresta opposta. ATTENZIONE al gradino metallico all'arrivo nascosto tra i materassi, (bisogna poi salirci sopra per sganciare la puleggia). Un ultimo muro sbuca nella macchia dove un sentiero porta nel bosco e a sinistra fino al parcheggio

05/12/2011

Quinseina P.ta Sud 2231 m. P.ta Nord 2344 m.

La più famosa vetta canavesana è costituita da due punte, la Sud raggiungibile dal santuario di Santa Elisabetta, a quella Nord si può arrivare per cresta (con un minimo di attenzione) oppure da Berchiotto o Frassinetto. Il panorama è notevole, ma per poterlo ammirare conviene evitare le calde giornate estive, quando le nebbie avvolgono le cime.
Note: nel caso la cresta tra le due punte fosse innevata, conviene affrontarla con picozza e ramponi.


Località di partenza: Pian del Lupo 1400 m.
Arrivo: Punta Sud 2231 m. Punta Nord 2344 m.
Dislivello: 831 m., 944 m.
Tempi di salita: 3-3:30 ore
Difficoltà: ECartografia: IGC n.21 1:50.000 Il Canavese
Accesso stradale
Descrizione: Dal Pian del Lupo si segue il sentiero 909 che porta alle prime baite e poi alle successive baite Alas che si lasciano sulla destra imboccando il sentiero che passa vicino a un "crotin" (edificio in pietra in cui si conservavano i formaggi), si prosegue a zig-zag toccando un altro "crotin" con fontana, quindi ci si innalza nel pascolo passando a sinistra delle baite Piazza (1603 m.). Si sale ancora, raggiungendo il pianeggiante costone che separa la valle su Frassinetto (cartello indicativo). Puntando a destra, si inizia a risalire il costone, quindi si aggira lo sperone dei tre Denti (1738 m.), dove si incontra un grande ometto e il bivio per il lago di Quinseina. Si continua a risalire il costone e il panorama che si fa via-via più ampio, sulla pianura, sulla valle Soana, Monviso e Alpi Marittime. Si attraversano ora facili pietraie e con un traverso finale si raggiunge la punta Sud. La cima è sormontata da una grande croce bianca. Volendo ora raggiungere la punta nord, bisogna abbassarsi alla sella sottostante per poi risalire (con un po di cautela) il ripido pendio che porta alla punta nord. Si rientra per l'itinerario di salita
 


01/12/2011

Una razza particolare - l'Homo Escursionisticus


Parleremo oggi di una razza molto curiosa che abita tutte le nostre Alpi: l'homo escursionisticus. Tale razza non è da confondere con i simili homo scialpinisticus e homo arrampicatorius, nei confronti dei quali vanta differenze sostanziali, anche se tutti si possono trovare nello stesso habitat. Il suo abbigliamento per primo lo contraddistingue. Infatti è sempre completamente vestito da alta montagna con scarponi, camicia e maglione di lana anche a luglio, zaino da spedizione himalayana, a volte piccozza. Però l'inarrestabile evoluzione sta portando rapidamente a mutamenti e ormai il maglione è stato quasi soppiantato dal pile e la piccozza dai bastoncini telescopici. Si avvistano però ancora spesso esemplari muniti di piccozza, normalmente di vecchio tipo in legno. Trattasi di soggetti anziani della sottospecie nostalgicus. Altra caratteristica curiosa e unica è che lo zaino viene portato solo dai maschi, anche quando esso è di dimensioni mostruose, mentre le femmine salgono senza alcun peso sulle spalle, lamentandosi spesso della fatica che comporta la salita in queste condizioni disagevoli. Il maschio invece pare non abbia il diritto di lamentarsi. Esiste a questo proposito anche un aspro ma saggio detto nelle tribù: "Se vai in montagna senza la consorte spendi la metà e ti diverti il doppio". Spesso, specie a bassa quota, egli è anche seguito dai suoi piccoli, che salgono entusiasticamente (col cavolo; vorrebbero essere a casa a giocare con la play-station e una volta maggiorenni non li vedrà più sulle cime). Questa razza ha una particolarità simpatica: saluta tutti quelli che incontra sul sentiero e dà loro subito del tu; fanno eccezione alcuni individui che ti passano sui piedi senza vederti, recentemente classificati nella sottospecie malus educatus. La maggioranza dei componenti di questa razza si riunisce tutte le settimane in luoghi sacri detti "Sede CAI". Qui dopo aspre lotte per avere la supremazia e imporre ognuno il suo volere, decidono un luogo detto "meta" ove andare nel fine settimana. Nei giorni che intercorrono fra riunione ed escursione si assiste al rito delle "previsioni del tempo". E' un rito individuale al massimo; ognuno ha le sue preferenze in merito. Chi guarda il cosiddetto Primo ("Caroselli è quello che ci azzecca di più"), chi Canale 5 ("La RAI è a Roma e non sa nemmeno che esiste il Piemonte"), chi, più evoluto, consulta Internet. C'è anche chi per andare sul Rocciamelone ascolta le previsioni della TV svizzera ("Non sbagliano mai") e per interpolazione logaritmica si fa la sua previsione personale. Se si intravvede la probabilità di tempo brutto, l'esemplare che ha più iniziativa fa il cosiddetto "giro di telefonate" per stabilire se andare o no. Qui la tribù ha un'altra spaccatura interna, questa volta fra "ottimisti" e "pessimisti". I primi vorrebbero partire anche se è previsto un periodo monsonico di un mese; i secondi, che hanno sentito che sulla Cina e forse anche sulla Russia potrebbe essere nuvolo, si oppongono e sovente si ritirano dall'escursione. Va da sè che i primi dopo aver camminato otto ore sotto l'acqua salgono in macchina commentando "Beh, in fondo è stata una bella gita" mentre i secondi, quando poi al mattino splende il sole, vanno spesso soggetti ad attacchi di fegato. Parlando di salute, apro una parentesi sulla cronica mancanza di memoria che affligge questa specie. E' molto raro che tutti si ricordino di portare tutto quello che serve e le manovre indispensabili. Normalmente almeno uno nel branco dimentica: gli occhiali scuri e/o i ramponi per una salita di 6 ore su ghiacciaio, il mangiare (non stupitevi, succede), come si fa un nodo a otto o un prusik, la macchina fotografica, la giacca a vento (a gennaio) lo zaino (in privata sede fornirò a chi fosse interessato nome e cognome di un esemplare di mia conoscenza a cui è successo di partire senza e accorgersi della sua mancanza sulle spalle solo venti minuti dopo). E' già anche accaduto che un esemplare si dimentichi che il giorno dopo deve partire per l'escursione. Ma sono casi estremi. Seguiamo ora un gruppo di individui durante questo spostamento settimanale, da loro chiamato "escursione". Si alzano molto presto, all'alba o anche prima. I nostri esemplari hanno dormito con un occhio solo, per non fare suonare la sveglia, il che attirerebbe su di essi le ire della loro compagna. Pertanto praticamente non hanno dormito tutta la notte e cadono regolarmente in catalessi dieci minuti prima dell'ora fissata, cosicché non sentono assolutamente la sveglia, che viene però ben avvertita da tutto il condominio. Frugale colazione, poi la partenza. Arrivati in fondo alle scale si ricordano di aver dimenticato un pezzo essenziale, e tornano su trafelati risvegliando la compagna che si era appena riaddormentata. Essa si vendicherà su di loro andando alle Gru durante la loro assenza, svuotando così il loro conto in banca. Recuperato tutto, si dirigono al "punto di ritrovo". Questo è un posto ben noto a tutti, meno a uno solo della tribù, che arriva con venti minuti di ritardo e che viene immediatamente assalito a piccozzate dagli altri. Poi si parte in auto. Si possono avere qui due casi tipici : pochi esemplari ben affiatati in una sola macchina; molti esemplari male assortiti in una o più macchine. Nel primo caso normalmente il viaggio non ha storia e si arriva in fretta alla meta. Nel secondo, in base a un fenomeno fisico non ancora ben individuato, si verificano numerose fermate in tutti i panettieri, bar e distributori di benzina che si incontrano sulla strada e l'arrivo alla meta è sempre almeno mezz'ora dopo quello preventivato. Qui si assiste a un importantissimo rito tribale : la "vestizione". Tutti indossano gli abiti adatti all'escursione. Però vi sono anche qui varianti del rito. Chi è poco ossequiante della sua sacralità si infila gli scarponi, si mette lo zaino in spalla ed è pronto in due minuti. I più rispettosi, dopo essersi cambiati tutti gli indumenti, infilano e tolgono gli scarponi almeno tre volte aggiustandosi le calze, si mettono il maglione ma poi dopo aver guardato il cielo se lo tolgono, cercano nello zaino una cosa che non hanno portato, regolano al millimetro l'altezza dei bastoncini, mettono su lo zaino e poi si ricordano che hanno ancora le chiavi della macchina in mano, cercano nello zaino il cappello, ma poi si accorgono di averlo già sulla testa, ecc. Insomma, quando vi sono nel gruppo degli escursionisti ortodossi, si parte almeno dopo una buona mezz'ora, con gli altri del gruppo che fumano (non sigarette). Nell'escursione molta importanza hanno le frasi rituali che si devono sempre pronunciare a tempo debito. Le elencherò man mano. Si dà inizio all'escursione con la prima frase "Preso tutto? Andiamo!" e dopo un paio di minuti con la seconda "A che ora siamo partiti? Non ho guardato l'orologio." C'è sempre un esemplare, detto il "capobranco" che parte in tromba, a muscoli freddi, facendo scoppiare gli altri. Se però questi sono furbi lo lasciano andare e lo raccolgono dopo poca strada completamente fuso. A quel punto passa in testa uno più normale che notoriamente tiene un'andatura più calma, e che diventa a sua volta capobranco. Se non sbaglierà sentiero e non prenderà scorciatoie egli manterrà la carica per tutta la giornata. A proposito di andatura un prezioso dettaglio. La velocità di questi esemplari è di circa 400 metri di dislivello all'ora, valore che essi definiscono "tempo canonico". Ritorneremo su questo dato quando parleremo dell'arrivo in vetta. Torniamo all'escursione. Salendo, il branco si sgrana sui pendii. Normalmente l'esemplare che è in testa ha fiato da vendere e continua a chiacchierare imperterrito, mentre gli altri ansimano penosamente. Così non appena il capobranco dice la frase "Ci fermiamo e mangiamo qualcosa?" tutti si buttano a terra e non si muovono più, sfiniti, mentre il capo divora velocemente cioccolate e marmellatine. Così quando si riparte lui è ancora più pimpante e gli altri ancora più scioppi. Il capo di solito a questo punto decide di abbreviare il percorso approfittando di tutte le scorciatoie che trova, che di solito hanno pendenze vicine agli 80 gradi. Qui spesso viene coperto di insulti e perde la sua carica. Molto particolare la serie di frasi rituali che sempre si recitano salendo: dopo dieci minuti dalla partenza "Che caldo! mi tolgo il pile" dopo mezz'ora "Fa più freddo adesso. Mi rimetto il pile" dopo un'altra mezz'ora "Che caldo! mi tolgo il pile"dopo un'altra mezz'ora "Fa più freddo adesso. Mi rimetto il pile"e così via. Altre:" Oggi le gambe proprio non girano" "Come pesa questo zaino. Chissà che cosa ho messo dentro di pesante" "Me la ricordavo più corta questa salita" "Accidenti, stanno arrivando le nuvole!" "Mi sa che oggi ci bagniamo" Dopo qualche ora di marcia si assiste al fenomeno delle "visioni". Uno di quelli più scioppi esclama "Ecco la punta!". Gli altri guardano ma non vedono e in effetti la punta non c'è ancora proprio. Il fenomeno si ripete più volte, seguito spesso dal crollo di chi ha avuto la visione, che non vuole più muoversi e chiede che lo seppelliscano lì sul posto. Quasi contemporaneamente si ha il secondo fenomeno detto "della predizione" Il capobranco in carica dice con fare convinto: "Solo più dieci minuti e siamo arrivati" e lo ripete più volte nell'ora e mezza successiva. Avviene spesso che alla quarta o quinta predizione egli venga messo a morte dagli altri individui improvvisamente inferocitisi per non si sa quale motivo. Quando si avvista veramente la punta si assiste ad un effetto di accelerazione progressiva, per cui gli ultimi metri sono percorsi quasi di corsa, anche da coloro che hanno avuto prima le visioni. Arrivati in punta la prima cosa che tutti fanno è guardare l'orologio, dire una cifra e poi la frase rituale: "Quanto dava il cartello alla partenza?". Se la risposta è una cifra superiore a quella detta da loro sono felici e radiosi; se è uguale si esclama "Tempo canonico"; se è inferiore, il sorriso scompare dal loro volto e cominciano a commiserarsi, dicendo di non essere più quelli di una volta. Secondo rito da compiere sempre, anche se piove o si è immersi nella nebbia, è "la foto di vetta". Tutti si allineano sulla punta e il celebrante pone un misterioso aggeggio su un trespolo, lo tocca e poi corre ad unirsi agli altri. Il gruppo sta fermo per dieci secondi esatti poi ripete la cerimonia con il secondo celebrante e un secondo misterioso aggeggio simile al primo, e così via finché tutti non hanno officiato il rito. Ogni tanto l'aggeggio cade a terra e allora si sentono alte lamentazioni da parte del suo possessore. Terzo rito è la "firma del libro di vetta", un misterioso e antico libro che si trova su quasi tutte le cime, portato non si sa da chi. Tutti appongono il loro nome su questo libro e i più spiritosi aggiungono commenti vari non richiesti e la cifra citata nel primo rito, ma solo nel caso che essa sia molto inferiore a quella del famoso cartello. Ultimo rito propiziatorio è sempre la consumazione delle vivande portate nello zaino. Qui si assistono a strane scene. Parte degli esemplari si nutre di poco e consuma parcamente un panino e una mela. Altri nello stesso tempo impiegato dai primi arrivano a mangiare: una biova, un etto di mortadella, una frittata alle cipolle, una fetta di toma da un etto, tre uova sode, due brioches, una tavola di cioccolata, un barattolo di nutella, una o più banane, ecc. il tutto accompagnato dalla cosiddetta "bota stopa". Normalmente si individuano in quelli che spesso dicono: "Mi mangio come 'n pipì". Ultimamente una setta che purtroppo trova sempre nuovi proseliti ha ideato uno strano rito di vetta. Consiste nell'estrarre dallo zaino un piccolo oggetto rettangolare, nell'accostarlo ad un orecchio e poi parlare a voce alta. Non si è ancora stabilito il fine di queste manovre, che alcuni studiosi vorrebbero individuare in un simbolico colloquio con la consorte o altro familiare. Le frasi rituali in questo caso sono: "Non c'è campo. Il tuo prende?" "Il mio ha quattro tacche" "Quando c'è il vento o piove non si prende niente" "Ma tu hai Tim o Omnitel?" "Porc...... E' caduta la linea !!!" Nel mondo scientifico si spera che la setta si estingua presto, per eliminare l'inquinamento acustico che si sta producendo sulle vette. Frasi rituali tradizionali in vetta: "Sono meno stanco di quello che pensavo" "Sono così stanco che non sarei più riuscito a fare nemmeno un metro" "Ma Tizio si è perso? Non lo vedo ancora" "Potevamo andare anche un po' più piano" "Siamo andati troppo piano" "Non c'è nemmeno un posto comodo su questa punta" "Che spettacolo!" "Non si vede un tubo, porca miseria!" "Si sta benissimo oggi, non andrei mai giù" "Sto congelando, mangiamo solo un boccone e via". Dopo, alcuni piombano in un sonno profondo lungo anche un'ora, altri, che si è constatato essere quasi sempre soci di una sezione CAI, condensano tutti i riti di cui sopra in dieci minuti o meno e ridiscendono in tromba, pronunciando la formula magica "Così siamo a casa presto". Non si capisce la ragione di questa fretta, con la prospettiva sempre incombente di prendersi da bere dalla moglie (vedere punto "ritorno a casa") . La discesa è caratterizzata da altri fenomeni, diversi ma molto interessanti. Il primo consiste nell'anomalo aumento della temperatura dei piedi, a volte tale da dover compiere abluzioni rituali nei ruscelli che si incontrano. Si assiste ad un altro importante fenomeno quando un componente del branco si stende improvvisamente a terra sul sentiero, dicendo la frase rituale "Sono inciampato". Questo è seguito dall'estrazione dallo zaino di pozioni magiche chiamate "alcool" o "acqua ossigenata" con cui si cospargono le ginocchia e i gomiti dell'esemplare. A volte anche il naso. Frasi rituali in discesa: "Ma come abbiamo fatto a fare tutta questa strada salendo?" "Ma non finisce più?" "Mi fanno male i calli" "Questo zaino mi sega le spalle" "Io quello lo farei fuori, non è mai stanco" Spesso la discesa avviene su rocce e roccette. Qui questa razza impiega una sua particolarissima e segreta tecnica denominata "Kul-e-mann", dallo scienziato che per prima l'ha studiata. In caso di discesa su ripidi pendii a bassa quota viene invece da loro impiegata la tecnica detta "arbust-traction". Per scendere velocemente alcuni individui un po' fuori di testa scelgono la cosiddetta "via dell'acqua" che a loro dire è sempre la migliore, e si infognano in erti canaloni pieni d'acqua che poi dovranno risalire dato che al fondo c'è quasi sempre una cascata alta 50 metri. Quando tali individui fungono da capobranco, raramente sopravvivono poi alla furia degli altri. Arrivati alle auto si ripete il rito della vestizione con tempi analoghi a quelli del mattino. Poi il gruppo si disperde su varie strade, passando però spesso dalla prima piola che trova per le libagioni propiziatorie dette "bevuta per celebrare la buona riuscita della gita" ( o "bevuta per consolarci del fatto che ha piovuto tutto il giorno" a seconda dei casi). Le ultime cerimonie vengono poi svolte da soli, in casa. Consistono nel buttarsi sulla prima poltrona che si incontra e di non muoversi di lì se non per far cena e per andare poi a letto, e nel prendersi regolarmente da bere dalla moglie. Sue frasi rituali: "Stamattina non mi hai fatto dormire con la tua maledetta sveglia!" "Non potevi arrivare più presto ? E' da ore che ti aspetto" "Potevi arrivare più tardi. Stavo così tranquilla da sola !" "Puzzi come un caprone" "Attento a dove metti quello zaino sporchissimo. Mentre tu andavi a divertirti io ho dato la cera!" "Cosa fai stravaccato sul sofà?" "Scommetto che stasera vai a letto alle nove e poi russi tutta la notte." Il giorno dopo, l'escursione viene ancora ricordata mediante dolori vari che assalgono specialmente i polpacci e con il cospargimento degli stessi con creme lenitive. Per tutta la settimana la tribù starà poi quieta, non muovendosi mai, fino ad essere nuovamente assalita dalla frenesia camminatoria nel fine settimana seguente. Una piccola trattazione a parte riguarda le migrazioni di più giorni effettuate in estate e denominate "escursioni con pernottamento in rifugio". Esse sono precedute da terribili lotte con la consorte che assale l'esemplare maschio pronunciando le frasi: "Vai sempre via a divertirti" "E io cosa faccio a casa?" "Ma sei già andato in rifugio cinque anni fa!" "Ma non potresti farla in giornata ? Mi hai detto che sono solo 2500 metri di dislivello!" Se si riesce a vincere la lotta, si può partire. L'escursione si svolge come le altre, meno che per il fatto che lo zaino pesa il doppio del solito. Il primo giorno prevede la sosta in un luogo sacro detto "rifugio", dove vengono forniti generi di sostentamento chiamati "minestron" e "polenta concia". La tribù vi dorme anche, normalmente poche ore in quanto il vicino di branda immancabilmente russa e vi è sempre una banda di individui che all'indomani non devono andare da nessuna parte e che fanno casino fino a tardi. La tribù si vendica al mattino facendo casino presto. Al mattino avviene il rito "dell'alba". I nostri individui si alzano almeno mezz'ora prima di questa, e quando si può anche due o tre ore prima. Poi il più delle volte tornano subito a letto perchè piove o nevica. Le poche volte in cui il cielo è pulito, la tribù si avvia portando sulla testa luci propiziatorie dette "pile frontali" che li mollano poi regolarmente nel mezzo di un tremendo ciaplè. Dopo di questo l'escursione segue i soliti riti già descritti, con la differenza che vista la breve dormita e la levataccia, in punta ne arriva nemmeno la metà, e al ritorno si addormentano tutti già in macchina (a volte anche l'autista). E con questo concludo la mia trattazione, che spero sia stata esauriente, anche se, essendo la razza in continua evoluzione, nuovo materiale si va aggiungendo continuamente . Mario Alpinisti socio CAI sezione di Pianezza